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Nascita di Otone (28 aprile 32 d.C.)

Il futuro imperatore Marco Salvio Otone nacque, da una famiglia appartenente in origine all’ordine equestre, il 28 aprile del 32 d.C., sotto il consolato di Camillo Arrunzio e Domizio Enobarbo. I suoi antenati erano originari di Ferento, e appartenevano ad una delle più antiche e nobili famiglie dell’Etruria ¹.

Busto di Otone

Il primo della sua famiglia a fare carriera politica fu suo nonno Marco Salvio Otone, che divenne senatore grazie all’interessamento di Livia, la moglie di Augusto, nella cui casa era cresciuto, ma che non andò oltre la carica di pretore. Suo padre, Lucio Otone, era imparentato per parte di madre con parecchie delle più importanti famiglie romane, e pare che fosse così somigliante all’imperatore Tiberio, che molti lo credevano suo figlio. Lucio Otone rivestì con estremo rigore le magistrature urbane e il proconsolato d’Africa ed entrò nelle grazie di Claudio scoprendo una congiura ordita da un cavaliere romano per assassinarlo. Come ringraziamento, Claudio lo ammise tra i patrizi e il Senato gli fece erigere una statua sul Palatino. Dal matrimonio con la nobildonna Albia Terenzia, Lucio Otone ebbe due figli maschi, Tiziano e il nostro Marco, ed una femmina, che diede in sposa a Druso, il figlio di Germanico.

Il giovane Marco Salvio Otone non possedeva però il rigore morale del padre; fin da ragazzo ebbe un carattere turbolento ed incline al lusso, destando le ire di Lucio che sovente lo prendeva a nerbate. Si diceva che di notte vagasse per le strade, divertendosi a far cadere i passanti ubriachi che passavano sul suo mantello disteso a terra. Il giovane Otone era attirato dalla dorata vita di palazzo e non pensava ad altro che a trovare il modo di farne parte. Dopo la morte del padre, ebbe finalmente la libertà di agire; finse di essere innamorato di un’anziana liberta imperiale, che frequentava abitualmente il Palazzo e che lo introdusse alla corte di Nerone, di cui divenne ben presto intimo amico, per una certa affinità di carattere o, come si malignava, perché ne era l’amante ².

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Statua di Otone in nudità eroica, Museo del Louvre, Parigi

L’amicizia tra Nerone e Otone era così profonda che il principe gli confidò anche il proposito di voler uccidere la madre Agrippina. Ma anche questo legame così stretto andò in crisi, come spesso accade, a causa di una donna.

Viveva a Roma Poppea Sabina, una donna di grande bellezza e fascino, proveniente da una famiglia di dignità consolare. Poppea era una donna ambiziosa e senza scrupoli, decisa a sfruttare tutte le sue doti naturali a proprio vantaggio. Si raccontava che uscisse raramente in pubblico e che, quando lo faceva, tenesse una parte del volto coperta da un velo, sia per non esporsi agli sguardi altrui, che per apparire più affascinante. Il giovane e dissoluto Otone ne fu colpito ed iniziò a farle una corte serrata; Poppea, che era sposata con Rufrio Crispino, un cavaliere romano, si lasciò sedurre perché era al corrente dell’intima amicizia che legava Otone e Nerone. Ottenuto il divorzio dal marito, Poppea sposò immediatamente Otone.

Quando parlava con Nerone, Otone non perdeva occasione per lodare la bellezza e l’eleganza della moglie. Non sappiamo cosa avesse in mente: forse l’amore per Poppea l’aveva accecato e reso imprudente, oppure intendeva utilizzare la moglie per accrescere la sua influenza sul principe, facendone l’amante.

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Ritratto di Poppea Sabina, Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo, Roma

Allo stesso tempo Poppea, ormai introdotta stabilmente a corte, esercitava tutte le sue arti per accrescere il desiderio di Nerone, non mostrandosi insensibile alle attenzioni del principe ma, a parole, manifestando la sua fedeltà ad Otone. Quali che fossero i piani di Otone, Nerone iniziò a percepirlo come un rivale e a trattarlo con più freddezza, fino ad escluderlo dal suo seguito. Poi, per liberarsene senza spargimento di sangue, lo inviò nel 58 come prefetto in Lusitania, trattenendo Poppea come amante presso di sé.

Otone rimase in Lusitania per i successivi dieci anni esercitando la sua attività di governatore con integrità e saggezza, a dispetto della vita dissoluta e sregolata che aveva condotto sino a quel momento ³. Soddisfatto per aver salvato la vita, non rinunciò a nutrire però propositi di vendetta, che si concretizzarono quando, il 2 aprile del 68, Sulpicio Galba, il governatore della Hispania Tarraconensis, si ribellò a Nerone, proclamandosi rappresentante del Senato e del Popolo Romano. Otone fu tra i primi ad appoggiare il settantenne Galba, forse perché aveva intuito la possibilità di diventare principe a sua volta. Infatti, un astrologo di nome Seleuco, che in passato gli aveva predetto che sarebbe sopravvissuto a Nerone, era da poco ricomparso inaspettatamente per annunciargli che sarebbe divenuto imperatore in breve tempo ⁴.

La previsione si avvererà, ma Otone morirà suicida a Brixellum il 17 aprile del 69 d.C., all’età di trentasette anni, dopo solo novantadue giorni di regno.

NOTE

¹ Svetonio (Otone, 1)

² Svetonio (Otone, 2)

³ Tacito (Annales, XIII, 45-46)

⁴ Svetonio (Otone, 4)

Prima battaglia di Bedriaco (14 aprile 69 d.C.)

Il 14 aprile del 69 d.C., nel famigerato anno dei quattro imperatori, fu combattuta la prima battaglia di Bedriaco tra le forze di Otone e quelle di Vitellio. La battaglia, in cui persero la vita circa quarantamila uomini, si concluse con il trionfo dell’esercito guidato da Aulo Cecina Alieno e Fabio Valente e consegnò l’impero al vittorioso Vitellio.

Il 15 gennaio del 69, Galba, succeduto a Nerone alcuni mesi prima, era stato assassinato dai pretoriani che avevano acclamato imperatore Marco Salvio Otone. Già dal 2 gennaio del 69, le legioni stanziate in Germania si erano ribellate a Galba e avevano invece proclamato imperatore il loro comandante, il legato Aulo Vitellio. Il Senato accettò l’elevazione di Otone, per non contrastare la volontà dei pretoriani. A quel punto la guerra civile era inevitabile. Fabio Valente e Aulo Cecina Alieno, due generali di Vitellio, oltrepassarono le Alpi e avanzarono in Italia per unire le proprie forze a Cremona, seguendo le direttive di Vitellio.

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Ritratto di Vitellio, Museo Nazionale del Bardo,  Tunisi

I due, uomini di grande avidità e temerarietà, erano divisi da una fiera rivalità, desiderosi ognuno per proprio conto di mettersi in mostra agli occhi di Vitellio, dando un apporto decisivo alla campagna. Valente, entrato in Italia dalle Alpi Cozie, guidava un contingente di quarantamila uomini provenienti dalla Germania Inferiore; Cecina, alla testa di trentamila legionari della Germania Superiore, penetrò dalle Alpi Pennine; ad entrambi erano stati poi aggregati degli ausiliari germanici ¹.

Il 14 marzo Otone si mise in marcia verso nord e stabilì il suo quartier generale a Brixellum, a sud del Po. I suoi migliori generali erano Gaio Svetonio Paolino, Annio Gallo e Mario Celso, ma Otone aveva preferito associargli nel comando il fratello Lucio Salvio Otone Tiziano e il prefetto del pretorio Licinio Proculo.

Il 12 aprile, a Brixellum, Otone tenne un consiglio di guerra. Il suo esercito contava non più di trentaseimila uomini, per cui saggiamente Svetonio Paolino, Annio Gallo e Mario Celso consigliarono di temporeggiare e attendere l’arrivo dei rinforzi: erano già in marcia, infatti, le legioni provenienti dalla Dalmazia, dalla Pannonia e dalla Mesia, composte da quarantunomila uomini, che avrebbero consentito ad Otone di combattere ad armi pari contro i Vitelliani.

Otone preferì invece dare ascolto alle opinioni del fratello Salvio Tiziano e del prefetto del pretorio Licinio Proculo, desiderosi di ingaggiare subito battaglia. Dopo alcune scaramucce di secondaria importanza, e tentativi di attirare l’avversario in un’imboscata, lo scontro decisivo avvenne a Bedriaco, una località a nord del Po, tra Cremona e Verona, presso l’attuale Calvatone, dove si era accampato l’esercito di Otone.

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Statua di Otone, proveniente da Terracina; Museo del Louvre, Parigi

Otone aveva deciso di non prendere parte alla battaglia e di restare al sicuro a Brixellum, affidando il comando delle operazioni a Tiziano e Proculo, che il 14 aprile decisero di spostare il campo a quattro miglia da Bedriaco, dove rimase Annio Gallo, reduce da una brutta caduta da cavallo.

Gli uomini di Otone, partiti da Bedriaco in direzione di Cremona, giunsero sul luogo dopo un’estenuante marcia con armi e bagagli al seguito.

“Dalla parte di Otone, i comandanti erano intimiditi, i soldati intolleranti degli ordini, i vivandieri ed i veicoli inframmezzati alle formazioni e la strada, che sarebbe stata stretta anche per una marcia indisturbata, era fiancheggiata da ambo i lati da profondi fossi. Alcuni uomini stavano attorno alle proprie insegne ed altri le cercavano; da ogni parte si sentiva un vociare incerto di persone che accorrevano e che chiamavano, ed ognuno, secondo il proprio coraggio o la propria paura, correva in prima fila o si faceva assorbire verso il fondo”. ²

I Vitelliani, agli ordini di Valente e Cecina, avevano invece preso posizione ordinatamente e con calma e attendevano solo il momento giusto per attaccare.

Proprio in quel mentre, iniziò a circolare una voce diffusa ad arte, secondo cui Vitellio era stato abbandonato dal suo esercito e c’era l’intenzione di negoziare una tregua per arrivare ad un accordo tra i due pretendenti al trono.

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Aureo di Otone

Gli Otoniani, stanchi per la marcia e ostacolati dai carri con le vettovaglie al seguito, prestarono fede alla diceria e si trovarono impreparati al combattimento; arrivarono addirittura a salutare il nemico, credendo che fosse in atto una tregua.

In quel momento i Vitelliani, in formazioni compatte, al segnale convenuto passarono all’attacco e gli Otoniani, pur se affaticati e inferiori di numero, sostennero l’urto valorosamente. Il terreno era accidentato e cosparso di alberi e vigneti, e la battaglia si frammentò subito in una serie scontri tra singole formazioni. La Legione I Adiutrix, che sosteneva Otone, riuscì addirittura a catturare l’aquila della Legione XXI Rapax, agli ordini di Vitellio, ma l’arrivo delle coorti Batave, guidate da Alfeno Varo, che avevano travolto gli uomini di Vestricio Spurinna e un contingente di duemila gladiatori agli ordini di Flavio Sabino, volse le sorti della battaglia in favore di Vitellio. Gli Otoniani furono investiti sul fianco e sbandarono.

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“Rotto lo schieramento al centro, gli Otoniani fuggirono da ogni parte in direzione di Bedriaco. La distanza era grande e le strade ostruite dai cadaveri dove più vasta era stata la carneficina. Nelle guerre civili, infatti, i prigionieri non costituiscono una preda”. ³

Per i Vitelliani fu facile a quel punto massacrare gli avversari in fuga. Svetonio Paolino e Licinio Proculo si dileguarono, evitando anche di tornare all’accampamento di Bedriaco, che fu invece raggiunto col favore delle tenebre da Tiziano e Celso. Dopo una notte trascorsa discutendo sull’opportunità di continuare la guerra, come volevano i pretoriani fedeli ad Otone, prevalse l’opinione di chi voleva arrendersi e furono inviati ambasciatori al campo dei capi Vitelliani; Cecina e Valente non ebbero esitazioni nel concedere la pace.

“Allora vinti e vincitori, scoppiando in lacrime, in una triste gioia, maledicevano il destino delle guerre civili e, dentro le stesse tende, curavano le ferite dei fratelli e degli amici. I premi e le speranze erano incerti, ma certe erano le morti e i pianti e non vi era nessuno così privo di disgrazie da non dover piangere la morte di qualcuno”. ⁴

Enorme fu il costo in vite umane. Nel corso della battaglia, persero la vita circa quarantamila soldati da entrambe le parti ⁵. Un testimone oculare confidò che il cumulo dei cadaveri raggiungeva il frontone di un tempio vicino ⁶.

Busto di Otone

Quando il 16 aprile la notizia della sconfitta giunse a Brixellum, portata da un cavaliere, molti sollecitarono Otone a non arrendersi; erano arrivati anche i rinforzi dalla Pannonia e gli uomini gli erano ancora fedeli. Ma Otone, che aveva trascorso gran parte della vita tra malvagità e scelleratezze, decise nobilmente che era ora di mettere la parola fine. Rivolgendosi quindi ai suoi uomini disse:

“È sufficiente quello che è appena accaduto. Odio la guerra civile, anche quando sono io a vincere; amo tutti i Romani anche quando non stanno dalla mia parte. Che Vitellio sia il vincitore, dato che così è sembrato giusto agli dei; che vengano risparmiate anche le vite dei suoi soldati, perché così pare giusto a me. È senza dubbio molto meglio e molto più giusto che uno solo muoia per tutti, piuttosto che molti per uno solo, ed è anche meglio evitare che il popolo romano sia coinvolto in una guerra civile a causa di uno solo e che una così grande moltitudine di uomini perisca”. ⁷

Concluso questo discorso si ritirò nel suo alloggio, inviò alcuni messaggi ai suoi uomini di fiducia e altri a Vitellio in loro difesa; quindi bruciò tutte le lettere che, se scoperte, avrebbero messo in pericolo i suoi fedeli, li chiamò e salutò tutti, dando loro del denaro.

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Statua di Otone in nudità eroica, Museo del Louvre, Parigi

Verso sera si fece portare due pugnali e, scelto quello più affilato, lo mise sotto il cuscino. Otone si uccise all’alba, appoggiandosi al pugnale con tutto il peso del corpo. Entrati nella tenda dopo aver udito un gemito, i servi, i liberti e il prefetto del pretorio Plozio Firmo ne constatarono la morte per una ferita al petto. I funerali verranno celebrati celermente, secondo i suoi desideri ⁸. Le coorti pretoriane trasportarono il corpo baciandogli la ferita e le mani in segno di omaggio, e alcuni soldati si uccisero vicino al rogo per imitare il suo nobile gesto e per fedeltà al loro sovrano. Le sue ceneri vennero poste in un modesto sepolcro, che per la sua povertà sfuggì ad ogni profanazione. Su di esso, erano incise in greco poche, semplici parole:

“Alla memoria di Marco Otone”. ⁹

Era il 17 aprile del 69 d.C.; questa fu la fine di Marco Salvio Otone, all’età di trentasette anni, dopo novantadue giorni di regno. Era nato il 28 aprile del 32 d.C.

NOTE

¹ Tacito (Historiae, I, 61, 1-2)

² Tacito (Historiae, II, 41, 6-7)

³ Tacito (Historiae, II, 44, 1-2)

⁴ Tacito (Historiae, II, 45, 5)

⁵ Dione Cassio (Storia Romana, LXIV, 10, 3)

⁶ Plutarco (Otone, 14)

⁷ Dione Cassio (Storia Romana, LXIV, 13, 1-2)

⁸ Svetonio (Otone, XI)

⁹ Plutarco (Otone, 18)

 

 

Nascita di Galba (24 dicembre 3 a.C.)

Servio Sulpicio Galba nacque il 24 dicembre del 3 a.C., sotto il consolato di Marco Valerio Messalla e Lucio Cornelio Lentulo ¹. Venne alla luce in una villa posta su un colle vicino a Terracina. Discendeva da un’antica e nobile famiglia di immensa ricchezza, quella dei Sulpici, che vantava molti illustri antenati.

Suo padre Gaio Sulpicio Galba era piccolo di statura e un po’ gobbo; dopo essere stato console nel 5 a.C., svolse una grande attività come avvocato ed ebbe due mogli. Dalla prima moglie, Mummia Acaica, ebbe due figli: Gaio e il nostro Servio. Il maggiore, Gaio, dilapidò il suo patrimonio e, allontanatosi da Roma, si suicidò quando Tiberio gli vietò di partecipare al sorteggio per il proconsolato nell’anno in cui gli sarebbe spettato di diritto ².

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Ritratto di Galba, Musei Capitolini, Roma

La seconda moglie, Livia Ocellina, una donna ricchissima e bella, era così innamorata della nobiltà del padre di Servio che non lo rifiutò neppure quando lui, non volendola ingannare nascondendole il suo aspetto fisico, le mostrò il suo corpo deforme spogliandosi in una stanza davanti ai suoi occhi.

Quando venne adottato dalla matrigna Livia Ocellina, il giovane Servio prese il nome del padre di lei, divenendo Lucio Livio Ocellario Sulpicio Galba. Solo dopo l’ascesa al trono tornò a chiamarsi Servio Sulpicio Galba.

Quando era ancora bambino, venne portato con altri coetanei a salutare l’anziano Augusto e questi, dopo averlo accarezzato sulla guancia, gli disse scherzosamente:

Anche tu, bambino, gusterai del nostro potere!” ³

Ebbe una particolare venerazione per Livia Drusilla, la moglie di Augusto. L’anziana imperatrice lo riempì di favori da viva e, nel suo testamento, lo nominò primo fra i legatari, destinandogli un lascito di cinquanta milioni di sesterzi. Ma poiché la somma era stata indicata in cifre e non a piene lettere, il suo erede Tiberio la ridusse a cinquecentomila sesterzi e non gli fece avere nemmeno quelli ⁴.

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Ritratto di Galba, Gustav III’s Museum of Antiquities, Stoccolma

In seguito, a chi gli riferiva che era stato predetto che Galba sarebbe diventato imperatore, ma da vecchio, Tiberio rispondeva:

Viva pure, dal momento che la cosa non mi riguarda affatto” ⁵

Si raccontava che, dopo aver assunto la toga virile, Galba sognò la dea Fortuna che gli diceva di essere stanca di stare in piedi davanti alla sua porta e che, se non l’avesse fatta entrare presto, sarebbe stata preda di chiunque l’avesse trovata per la via. Al suo risveglio Galba, aprendo la porta, trovò vicino alla soglia una statua di bronzo di quella dea alta mezzo metro e la portò, tenendola stretta tra le braccia, fino alla sua villa di Tuscolo dove era solito passare l’estate tutti i mesi, offrendole preghiere e ogni anno una veglia nella parte della casa a lei dedicata ⁶.

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Sesterzio di Galba

Un giorno, mentre un suo avo stava facendo un sacrificio propiziatorio, un’aquila gli aveva rubato dalle mani le viscere della vittima e le aveva portate su di una quercia carica di frutti; un indovino gli aveva allora predetto che, col tempo, la famiglia dei Sulpici sarebbe arrivata al potere e quello, incredulo, aveva risposto:

Si, dopo che una mula avrà partorito!” ⁷

Eppure, molti anni dopo, quando iniziarono le ribellioni delle legioni contro Nerone, si verificò il prodigio che una mula partorì veramente; Galba, che era governatore  della Hispania Tarraconensis, si ricordò allora delle parole dell’avo e lo considerò un lieto presagio che si avverò subito dopo la morte di Nerone.

NOTE

¹ Svetonio (Galba, 4)

² Svetonio (Galba, 3)

³ Svetonio (Galba, 4)

⁴ Svetonio (Galba, 5)

⁵ Svetonio (Galba, 4)

⁶ Svetonio (Galba, 4)

⁷ il mulo è un ibrido frutto dell’incrocio tra una cavalla e un asino. La mula è sterile nella grande maggioranza dei casi.

Sporo, il liberto che divenne imperatrice

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Ermafrodito dormiente, Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo,  Roma

Nel 65 d.C., la seconda moglie di Nerone, Poppea Sabina, che attendeva un bambino, morì improvvisamente per una complicazione della gravidanza. Ci fu anche chi mise in giro la diceria che Nerone, in preda ad un accesso d’ira, avesse sferrato un violento calcio al ventre della donna, causandole un aborto spontaneo e la morte. Non sapremo mai la verità. Nerone sentiva però la mancanza di Sabina e cercò di colmare questo vuoto facendosi portare e tenendo presso di sé una donna che le somigliava. Un giorno, venne a sapere che un giovane liberto di nome Sporo aveva un viso straordinariamente simile a quello della sua defunta moglie. Nerone ordinò subito ai suoi chirurghi di castrare lo sventurato Sporo e gli diede anche il nome di Sabina, arrivando addirittura a sposarlo con un matrimonio in piena regola, con tanto di dote e contratto, e con Tigellino nella parte del padre della sposa.

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Statua di Ermafrodito, Antiquarium di Lucrezia Romana, Roma

Inoltre, affidò a Calvia Crispinilla, una nobildonna del suo seguito – la “magistra libidinum” di Nerone – l’incarico di provvedere a Sporo e di curare il suo vestiario. Il matrimonio fu celebrato durante il viaggio in Grecia del 67; i Greci festeggiarono sontuosamente le nozze, indirizzando agli sposi le consuete formule tradizionali di auguri e auspicando persino che gli dèi concedessero alla coppia la nascita di figli legittimi. Sporo, vestito e adornato da Augusta, seguì Nerone in lettiga per tutto il viaggio in Grecia; tornati a Roma, poi, Nerone lo conduceva con sé a passeggio, coprendolo di baci. Lo esibì anche al mercato dei Sigillaria, che derivava il suo nome dai “sigilla”, le statuine in terracotta che si scambiavano come doni durante i Saturnali, la festività durante la quale l’ordine sociale veniva rovesciato per alcuni giorni. Forse Nerone, eletto princeps Saturnalicius, il re dei Saturnali, voleva giocare un tragico scherzo, presentando come imperatrice un ragazzo trasformato in donna. Anche in questo caso, non sapremo mai come andarono veramente le cose.

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Ermafrodito dormiente (particolare), Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo

Sappiamo che Sporo portava i capelli con la scriminatura, vestiva e si doveva comportare in tutto e per tutto come una donna. Nerone arrivò persino ad offrire grandi somme ed onori a chi fosse riuscito a trasformare Sporo in una donna a tutti gli effetti. Nel frattempo, però, Nerone aveva trovato nel 66 anche il tempo di sposare una sua amante, la nobildonna Statilia Messalina.
Alle calende di gennaio del 68, mentre Nerone prendeva gli auspici per l’anno nuovo, Sporo gli regalò un anello con una gemma su cui era inciso il ratto di Proserpina. La scena rappresentava Ade, il signore dell’oltretomba, che rapiva la fanciulla per farne la sua sposa. Un sinistro presagio che, per uno scherzo del destino, dispiegherà i suoi effetti in seguito.
Pochi mesi dopo, quando Nerone fu deposto dal Senato, in seguito alla ribellione di Galba, e si trovò ad essere abbandonato da tutti, compresa Statilia Messalina, fu Sporo, insieme ai liberti Faonte, Epafrodito e Neofito, che lo accompagnò nella sua fuga a cavallo da Roma, diretto verso la villetta di Faonte, al quarto miglio tra la via Salaria e la via Nomentana. Nella villetta, in preda della disperazione e certo di avere le ore contate, Nerone invitò Sporo a iniziare i pianti e le lamentazioni con cui celebrare il lutto come una moglie.

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Ermafrodito dormiente, Museo Nazionale Romano, Palazzo Massimo

Nerone avrebbe voluto che anche Sporo si suicidasse con lui, ma il ragazzo non lo accontentò. A quel punto, Epafrodito o forse lo stesso Sporo, aiutò Nerone a conficcarsi un pugnale in gola. Subito dopo la morte di Nerone, Icelo, un liberto di Galba, concesse ai suoi familiari di cremarlo e seppellirlo con i dovuti onori. Per il suo funerale furono spesi ben duecentomila sesterzi. Alla presenza di Sporo e dei superstiti membri della casata imperiale, Nerone venne cremato avvolto nelle coperte bianche intessute d’oro che aveva utilizzato nelle cerimonie alle calende di gennaio. Sporo accompagnò anche le ceneri di Nerone nel suo ultimo viaggio verso il mausoleo dei Domizi sul Pincio, dove furono deposte in un sarcofago di porfido dalle sue vecchie nutrici Egloge ed Alessandria e dalla storica concubina Atte.

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Statua di Ermafrodito, Musei Capitolini, Roma

Incredibilmente, anche dopo la morte di Nerone, avvenuta nel 68, Sporo continuò a recitare la parte di Sabina. Passò infatti sotto la protezione di Ninfidio Sabino, il prefetto del pretorio nominato da Nerone, che aspirava a diventare imperatore e si era anche spacciato per figlio illegittimo di Caligola. Ninfidio trattava Sporo come se fossero sposati e lo chiamava “Poppea”. Quando Ninfidio venne ucciso dai pretoriani mentre tentava di ribellarsi a Galba, Sporo scomparve per riapparire nei primi mesi del 69 insieme a Otone, appena succeduto a Galba. Otone aveva infatti una notevole familiarità con i personaggi della corte di Nerone ma, per sfortuna di Sporo, ebbe vita breve. La triste storia di Sporo si concluse sotto il nuovo imperatore Vitellio, nell’autunno del 69.

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Ermafrodito dormiente, I sec a.C., dal giardino di Loreio Tiburtino, Pompei

Nella programmazione di uno spettacolo gladiatorio, i seguaci di Vitellio proposero che Sporo comparisse sulla scena interpretando la protagonista del ratto di Proserpina, in sostanza una fanciulla violentata. Sporo non sopportò l’idea di essere esposto al pubblico ludibrio e si uccise, poco più di un anno dopo la morte di Nerone, che era stato causa della sua rovina.