Il 26 giugno del 363 d.C., durante la ritirata verso Samarra, l’esercito romano venne attaccato a più riprese dai Persiani. Nella mischia furibonda, l’imperatore filosofo Flavio Giuliano, accorso prontamente ad incoraggiare i suoi uomini, ma senza la protezione della corazza, rimase mortalmente ferito da una lancia scagliata da mano ignota.
Il 1° aprile 363, al comando di un poderoso esercito, Flavio Giuliano era entrato in territorio persiano, deciso a sferrare un colpo mortale al regno di Sapore II, da secoli una spina nel fianco dell’impero romano. L’Augusto, per portare a compimento l’impresa, aveva diviso il contingente ai suoi ordini, affidando parte delle truppe ai generali Procopio e Sebastiano, che avrebbero dovuto raggiungere l’Assiria passando lungo il corso del Tigri, attraverso l’Armenia e la Corduene, mentre egli si dirigeva a sud, lungo la riva dell’Eufrate. In solo due mesi, l’esercito romano guidato da Giuliano aveva raggiunto Ctesifonte, la capitale degli avversari, senza tuttavia riuscire a impegnare in una battaglia campale decisiva le forze dei Sasanidi. Ctesifonte era stata conquistata e saccheggiata altre volte dai Romani ma, in questa occasione, le possenti difese della città convinsero Giuliano dell’inutilità di porre un assedio, anche per evitare di essere colto di sorpresa alle spalle dall’esercito di Sapore II (Shāpūr). L’imperatore decise allora di andare incontro all’armata persiana e ordinò di ritirarsi, sperando anche di ricongiungersi al più presto con l’armata di Procopio e Sebastiano, per affrontare i Sasanidi con tutti gli effettivi. La marcia di ritorno fu però durissima per il caldo soffocante e la mancanza di rifornimenti; i persiani adottavano una tattica di guerriglia, facendo terra bruciata sul percorso della colonna romana e limitandosi ad improvvisi attacchi a sorpresa, evitando con cura lo scontro in campo aperto.

Sinistri presagi sul destino dell’imperatore si erano susseguiti nei giorni precedenti. Nella notte tra il 25 e il 26 giugno, nella sua tenda, mentre era intento a scrivere e meditare, Giuliano raccontò agli amici di aver visto confusamente l’immagine del Genio pubblico che gli era già apparsa nelle Gallie tre anni prima, quando stava per essere elevato alla dignità di Augusto; solo che questa volta il Genio si allontanava dalla tenda in atteggiamento triste, con il capo e la Cornucopia avvolti da un velo. ¹
Turbato dalla visione, Giuliano iniziò a pregare gli dèi e fu allora che gli sembrò di vedere una fiaccola ardente solcare il cielo, simile a una stella cadente, che egli interpretò come l’astro di Marte ². All’alba, gli aruspici furono convocati e consultati sul significato della stella cadente; essi risposero che si doveva evitare qualsiasi impresa:
“Dopo l’apparizione di una fiaccola in cielo non si doveva né ingaggiare battaglia né compiere alcuna azione del genere”. ³
Ignorando volutamente il parere contrario degli aruspici, come sempre faceva quando aveva già preso una decisione, Giuliano non volle comunque ritardare la partenza e ordinò di levare le tende, andando incontro al suo triste destino.
Verso mezzogiorno, mentre dalle alture circostanti i Persiani spiavano la marcia dei loro nemici, la lunga colonna romana arrivò alla desolata pianura di Maranda. Proprio allora, i Persiani aprirono le ostilità. Giuliano fu avvertito che la retroguardia era stata attaccata; l’imperatore voleva sempre essere al centro dell’azione, per sostenere e incoraggiare di persona i soldati. Per la fretta, Giuliano trascurò di indossare la lorica, e prese con sé solo uno scudo; mentre si dirigeva a cavallo verso la retroguardia, venne a sapere che anche l’avanguardia era stata attaccata. Incurante del pericolo che correva, insieme alle sue guardie del corpo Giuliano accorreva ovunque, per incitare i suoi uomini con le parole e l’esempio. Ad un certo momento, anche la parte centrale dello schieramento venne assalita dalla cavalleria corazzata dei persiani e dagli elefanti da guerra. Lo scontro si fece durissimo. Improvvisamente, nella confusione generale, una lancia persiana colpì al fianco destro Giuliano, penetrando profondamente tra le costole.

Giuliano si ferì alle mani per estrarre la lancia dalla ferita e cadde da cavallo; fu subito soccorso dagli uomini del seguito e portato nella sua tenda per essere affidato alle cure dei medici. Poco dopo, essendo diminuito il dolore, chiese ancora le armi ed il cavallo per ritornare in battaglia, preoccupato per le sorti dei suoi uomini che, nel frattempo, venuti a conoscenza che l’imperatore era stato ferito, in preda all’ira e alla disperazione combattevano invece con rinnovato vigore.
“Caddero in quella battaglia cinquanta nobili e satrapi persiani, assieme a un grandissimo numero di soldati semplici; morirono, fra gli altri, i famosissimi generali Merena e Nohodare”. ⁴
La ferrea volontà di Giuliano non era però più sorretta dalle forze. Debilitato per la perdita di sangue, fu costretto a rimanere sdraiato, mentre il suo medico personale Oribasio constatava la gravità della ferita; perse infine la speranza di sopravvivere quando venne a sapere che il luogo dove era stato colpito si chiamava Frigia. Infatti, in passato, gli era stato vaticinato che in Frigia sarebbe morto per volontà del destino. Anche la notizia della morte in battaglia del suo amico e magister officiorum Anatolio provocò un ulteriore dolore al morente imperatore.

L’ultimo grande storico romano, Ammiano Marcellino, che partecipava alla spedizione, ci narra le ore finali dell’ultimo imperatore pagano, in pagine dense di ammirazione per questa figura.
“Giuliano, che giaceva nella tenda, parlava a quanti gli stavano attorno, abbattuti e tristi: «È arrivato, amici, il momento assai opportuno di uscire dalla vita. Giunto al momento di restituirla alla natura, che la richiede, come un debitore leale mi rallegro e non mi rattristo né mi addoloro, poiché ben so, per opinione unanime dei filosofi, quanto l’anima sia più felice del corpo e penso che, ogni volta che una condizione migliore venga separata da una peggiore, dobbiamo rallegrarci, non dolerci. […] Non mi pento di quanto ho fatto, né mi sfiora il ricordo di qualche delitto; sia nel periodo di quando ero costretto all’oscurità e alla miseria, che dopo essere stato assunto all’impero, ho conservato pura la mia anima, che penso tragga origine dagli dei immortali ai quali è affine. […] Né mi vergognerò di ammettere che da tempo sapevo, in seguito ad una profezia sicura, che sarei morto di ferro. Perciò adoro la divinità eterna, perché non muoio in seguito ad insidie nascoste, né dopo una lunga e dolorosa malattia, né condannato come un criminale, ma perché ho meritato questa splendida fine in mezzo al corso della mia fiorente gloria. Infatti è giustamente considerato pauroso e ignavo chi desidera la morte quando non è necessaria come chi la evita quando è opportuna». […] Nel frattempo tutti i presenti piangevano ma Giuliano, che conservava ancora tutta la sua autorità, li rimproverava affermando che era da vili piangere un sovrano che si stava ricongiungendo al cielo ed alle stelle. Essi perciò tacquero ed egli discusse profondamente con i filosofi Massimo e Prisco sulla nobiltà dell’animo. Ma essendosi troppo aperta la ferita al fianco dov’era stato colpito ed impedendogli l’infiammazione del sangue di respirare, spirò serenamente nel cuore della notte all’età di 32 anni”. ⁵

Era quasi la mezzanotte del 26 giugno 363 e il paganesimo antico, ancora molto radicato nella società romana, dopo solo venti mesi di regno perdeva il suo ultimo difensore e una delle figure più colte e rappresentative del suo tempo. Con la morte di Giuliano, che era privo di eredi e non lasciò indicazioni per la sua successione, si estingueva anche la dinastia costantiniana. Il candidato più indicato alla successione sarebbe stato Saturnino Salustio, il prefetto del pretorio, che però rifiutò la porpora. La scelta dei generali cadde sul cristiano Gioviano, il comandante dei protectores domestici, la guardia imperiale, che per salvare ciò che restava dell’armata si affrettò a stipulare un mortificante accordo di pace coi Persiani, a cui cedette quindici fortezze, tra cui Singara, Nisibis e Castra Maurorum, e cinque province al di là del Tigri: l’Arzanena, la Moxoena, la Zabdicena, la Rehimena e la Corduene.
Misteriosa rimase l’identità di colui assestò il colpo mortale a Giuliano. Per quanto l’ipotesi più probabile è che si trattasse di un cavaliere persiano, negli anni successivi ci fu chi parlò di un sicario, forse cristiano, incaricato di eliminare l’imperatore nell’ambito di una congiura di palazzo, ed altri attribuirono l’assassinio ad un soldato romano esasperato dalla fame e dalle sofferenze.
Come attestato dallo storico Eutropio ⁶, che aveva partecipato alla spedizione contro i Sasanidi, dopo la morte Giuliano fu divinizzato tramite il consueto rituale della consecratio, e divenne oggetto di particolare venerazione negli ambienti dell’aristocrazia pagana e tradizionalista.

Il corpo di Giuliano fu scortato da Procopio fino a Tarso, e sepolto in un piccolo mausoleo che sorgeva accanto ad una villa suburbana, alla periferia della città, secondo le disposizioni che l’imperatore filosofo aveva dato quando era ancora in vita ⁷. Il mausoleo sorgeva di fronte alla tomba di un imperatore pagano e anticristiano, Massimino Daia, sulle rive del fiume Cnido. Sulla sua lapide funeraria Gioviano fece incidere questa iscrizione:
“Dalle rive del Tigri impetuoso, Giuliano qui è venuto a riposare, al tempo stesso buon re e valoroso guerriero”.
Quando Sapore venne a conoscenza della morte di Giuliano, che temeva moltissimo, se ne rallegrò; tuttavia, non si capacitava del motivo per cui i Romani non avessero tentato di vendicare la morte del loro imperatore.
“A Vittore, Salustio e agli altri membri della legazione inviati per definire un accordo di pace, fu chiesto da Sapore se i Romani non provavano vergogna per non essersi preoccupati di vendicare Giuliano, visto che era stato l’unico a cadere. «Io – esclamò – quando uno dei miei generali fu ucciso, feci scuoiare vivi gli uomini che mancarono di morire al suo fianco e ne inviai le teste ai parenti per consolarli»”. ⁸
NOTE
¹ Ammiano Marcellino (Storie, XXV, 2, 3)
² Ammiano Marcellino (Storie, XXV, 2, 4)
³ Ammiano Marcellino (Storie, XXV, 2, 7)
⁴ Ammiano Marcellino (Storie, XXV, 3, 13)
⁵ Ammiano Marcellino (Storie, XXV, 3, 15-23)
⁶ Eutropio (Breviarium, X, 16, 2)
⁷ Ammiano Marcellino (Storie, XXV, 9, 12)
⁸ Libanio (Orazioni, XXIV, 20)