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Saturnalia (17 – 23 dicembre)

Dal 17 al 23 dicembre si svolgeva a Roma la festa forse più attesa di tutte, per il carattere di gioiosa allegria che la contraddistingueva: i Saturnalia, in onore di Saturno.

Saturno era un’antica divinità di cui non siamo in grado di determinare con certezza l’origine. Forse identificabile con l’etrusco Satres, Saturno è nell’elenco delle divinità importate a Roma da Tito Tazio ¹. Nel periodo monarchico, sappiamo che a Saturno era dedicato un altare nel foro, di cui la tradizione attribuiva la fondazione ai compagni di Ercole. Tarquinio il Superbo volle sostituirlo con un tempio che fu però dedicato solo nel 497, anni dopo la sua cacciata. Solo in seguito, Saturno venne identificato con Crono, il titano sposo di Rea che venne scacciato dall’Olimpo da suo figlio Zeus, e ne assunse in parte il retroterra mitico, che gli era in realtà estraneo.

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Saturno che impugna la falce; affresco del I secolo d.C.; Museo Archeologico Nazionale di Napoli

Secondo il mito che si è in seguito consolidato, Saturno, rappresentato come un vecchio dalla barba bianca e con una falce in mano, giunse in Italia detronizzato da Giove e venne accolto da Giano, che era il primo sovrano di queste terre. Giano, dalla sua dimora sul Mons Ianiculus, accolse benevolmente l’ospite, gli offrì come rifugio il colle di fronte al suo, che chiamò Mons Saturnius, e che in futuro sarebbe stato conosciuto col nome di Campidoglio; poi, da divinità civilizzatrici quali erano entrambi, regnarono insieme di comune accordo.

Quando Saturno si insediò nel Lazio, ebbe inizio il suo regno, un’età dell’oro chiamata saturnia regna (il regno di Saturno), in cui gli uomini vivevano in pace, nell’abbondanza, senza disuguaglianze sociali, violenze e dolori. Saturno, il cui nome secondo Varrone ² e Macrobio ³ derivava dal verbo serere (seminare), era sicuramente un dio agricolo, legato alla terra, e conosceva tutti i segreti dell’arte dell’agricoltura tra cui, come testimoniato dall’appellativo di Stercutius, la fertilizzazione dei campi col letame.

Saturno iniziò a insegnare agli uomini come coltivare la terra, eliminò le usanze più barbare e introdusse nel Lazio la civiltà e l’ordine sociale che deriva dalle leggi. Accanto a Saturno, sedeva come sposa Ops, dea dell’abbondanza e della prosperità, che forniva agli uomini i beni necessari al sostentamento. Nacque allora il mito della Saturnia Tellus, la Terra di Saturno, in cui i campi generavano spontaneamente i frutti di cui gli uomini avevano bisogno.

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Statua di Saturno (I secolo d.C.), Museo Numantino di Soria, Spagna

Questa mitica età dell’oro, in cui uomini e dèi vivevano insieme, ebbe purtroppo termine quando Saturno un giorno improvvisamente sparì (come accadrà anche ad altre figure mitiche come Enea, Latino e Romolo), ed iniziò il tempo di Giove. Saturno non era però morto, ma solo addormentato ed era stato portato da Giove ai confini della terra, in un luogo denominato Isola dei Beati, dove continuò a dormire il suo eterno sonno.

In onore di Saturno, Giano istituì la festa dei Saturnalia ⁴, che aveva lo scopo di celebrare l’aureo regno di Saturno nel Lazio.

La celebrazione dei Saturnali iniziava con un solenne sacrificio a Saturno presso il suo tempio nel Foro, presso cui era custodito l’aerarium, il tesoro pubblico del popolo romano. Al dio veniva offerta una scrofa e si consumava un banchetto sacro al quale tutti potevano partecipare. Al termine del banchetto collettivo, i convitati si scambiavano il caratteristico augurio al grido di “Io Saturnalia“. I riti sacrificali venivano officiati da sacerdoti a capo scoperto, secondo l’uso greco. La statua del dio Saturno nel tempio aveva sempre i piedi legati con bende di lana ⁵. Tali legami (compedes) erano caratteristici degli schiavi e venivano sciolti solo in occasione dei Saturnalia, per consentire al dio di prendere parte ai festeggiamenti.

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Saturnalia (1782-1783), di Antoine Callet. Sullo sfondo, si nota la statua di Saturno con la falce.

I Saturnalia vennero celebrati per la prima volta in epoca storica il 17 dicembre del 497 a.C., in occasione della dedica del tempio di Saturno nel foro romano ⁶. Inizialmente la festa veniva celebrata solo il 17 dicembre; sul finire della Repubblica essa fu estesa fino al 19 dicembre mentre in età domizianea raggiunse la durata definitiva fino al 23 dicembre.

Uno dei tratti caratteristici dei Saturnalia era la libertà concessa agli schiavi, che banchettavano insieme ai padroni. Toccava infatti ai padroni servire i propri schiavi, a meno che non preferissero dividere il pasto con loro ⁷.

Tutti gli invitati ai banchetti si scambiavano il saluto augurale “Io, Saturnalia”, forse un’abbreviazione della frase “ego tibi optimis Saturnalia auspico”.

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Mosaico con gioco dei dadi (III secolo d.C.), da El Djem; Museo del Bardo, Tunisi

Nei giorni dei Saturnalia erano permessi i giochi d’azzardo, normalmente proibiti dalla legge, i tribunali non funzionavano, non si poteva richiedere il pagamento dei debiti, nessuno poteva essere condannato, non si portava la toga ma la synthesis, una più pratica veste da camera.

Come simbolo di uguaglianza tra gli uomini, tutti portavano il pilleus, il copricapo che indossavano i liberti, cioè gli schiavi che erano stati affrancati. Caratteristica dei Saturnali non era quindi il sovvertimento dell’ordine sociale – come a volte si afferma – ma l’uguaglianza tra gli uomini, la mancanza di differenze di ceto che era stato il tratto tipico dell’età dell’oro di Saturno. Durante i Saturnali, si organizzavano anche dei banchetti nelle sontuose dimore della nobiltà, in cui si affrontavano dibattiti filosofici e discussioni sui grandi temi filosofici, sulla poesia, sulla vita, sulla morte, sull’amore. Durante questi banchetti privati, si eleggeva un princeps o rex saturnalicius, il re dei Saturnali, che indossava una maschera dai colori sgargianti, si vestiva di rosso e si occupava della buona riuscita dei festeggiamenti. Una testimonianza delle discussioni che si tenevano in questi banchetti ci è offerta, a cavallo tra il IV e V secolo d.C. da Macrobio, nella sua opera intitolata appunto “Saturnalia”.

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Rilievo raffigurante Saturno con falce (II secolo d.C.); Musei Capitolini, Roma

Il 20 dicembre si celebravano i Sigillaria, che prendevano il nome dai sigilla, le statuine di cera o pasta che si regalavano come doni ai familiari e agli amici più stretti, per essere offerte ai Lari e a Saturno, e che venivano venduti in un apposito mercatino.

I Saturnalia erano così popolari che continuarono ad essere celebrati anche dopo il V secolo, quando ormai il cristianesimo si era affermato, ormai depurati dagli elementi più strettamente pagani, per poi essere in parte assorbiti dalle festività per la fine dell’anno e dal Carnevale.

NOTE

¹ Varrone (De lingua latina, V, 74)

² Varrone (De lingua latina, V, 64)

³ Macrobio (Saturnalia, I, 10, 20)

⁴ Macrobio (Saturnalia, I, 7, 24)

⁵ Macrobio (Saturnalia, I, 8, 15)

⁶ Tito Livio (Ab urbe condita,  II, 21, 2)

⁷ Macrobio (Saturnalia, I, 7, 37)

Consualia (15 dicembre)

Il 15 dicembre, dopo la semina, si celebrava una delle due feste del calendario romano dedicate all’antico dio Conso (Consus): i Consualia. Gli altri Consualia, quelli estivi, si tenevano il 21 agosto, dopo il raccolto. Entrambe le feste il 21 agosto e il 15 dicembre erano seguite dopo un uguale numero di giorni (rispettivamente il 25 agosto e il 19 dicembre) da due celebrazioni (le Opeconsivia e le Opalia) dedicate alla dea Ops, personificazione dell’abbondanza in questo caso agricola, il cui epiteto più frequente era appunto Consivia, in quanto associata in stretto relazione col dio Conso, che era il protettore del raccolto che originariamente veniva immagazzinato in silos sotterranei. Ad Ops era dedicata una cappella nella Regia del Foro, alla quale avevano accesso solo il Pontefice Massimo e le Vestali.

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Mosaico da Piazza Armerina

I Consualia estivi ed invernali si svolgevano con modalità simili. Erano il Flamine di Quirino (flamen quirinalis) e le vergini Vestali a sacrificare in onore di Conso sull’altare a lui dedicato, che si trovava interrato nel Circo Massimo – perché il dio presiedeva alla conservazione del grano in silos sotterranei – e che veniva riportato alla luce solo in queste occasioni. L’altare era circondato dalle immagini di altre antiche divinità romane che avevano la funzione di proteggere le messi nei vari stati della crescita: Seia, Segezia e Tutilina. Dopo i sacrifici e l’offerta di primizie, si tenevano corse di cavalli montati e di carri, oltre a giochi campestri e corse di carri trainati da muli. Gli animali utilizzati per i lavori agricoli, come cavalli, asini e muli, erano esentati dal lavoro e venivano adornati con corone di fiori.

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Mosaico  con carro e cavalli, Centrale Montemartini, Roma

I Consualia estivi avevano lo scopo di mettere sotto la protezione di Conso il raccolto immagazzinato nei granai. La tradizione attribuiva addirittura a Romolo l’istituzione dei Consualia del 21 agosto ¹, durante i quali si sarebbe svolto il Ratto delle Sabine.

NOTE

¹ Tito Livio (Ab urbe condita, I, 9)

Opiconsivia (25 agosto)

Il 25 agosto si celebravano le Opiconsivia, una delle due feste annuali – l’altra, le Opalia, si teneva il 19 dicembre – in onore di Ops (Opi), dea dell’opulenza e dell’abbondanza agricola, connessa con la madre terra, da cui derivava ogni umana agiatezza, ed associata all’antico dio Conso, protettore del raccolto immagazzinato.

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Livia Drusilla rappresentata come Ops, proveniente da Baena (Cordoba), Museo Archeologico Nazionale, Madrid

Ad Ops furono dedicati due santuari, uno sul Campidoglio e l’altro nella Regia che si trovava nel Foro, dove c’era una cappella (sacrarium Opis) in cui potevano entrare solo le Vestali e il Pontefice Massimo e dove, secondo la testimonianza di Festo ¹, era custodito un particolare tipo di vaso che veniva utilizzato nei riti effettuati nel sacrario.

A causa della scarsezza delle fonti, non abbiamo grandi informazioni sullo svolgimento rituale delle Opiconsivia; possiamo solo ipotizzare che il Pontefice Massimo e le Vestali avessero un ruolo nella cerimonia che si svolgeva nella cappella di Ops.
Secondo Varrone ², il culto di Ops, a conferma della sua antichità, era di origine sabina e venne introdotto a Roma dal re Tito Tazio, quando regnava insieme a Romolo.

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Statua di Livia Drusilla rappresentata come Ops, Museo del Louvre, Parigi

Secondo una tradizione riportata da Macrobio ³, Ops Consivia era una delle figure divine che potevano essere identificate con la divinità tutelare di Roma, il cui nome doveva restare segreto per impedire che i nemici potessero evocarla e farle abbandonare la città da lei protetta, con il temibile rito dell’evocatio.

La successiva interpretazione greca di Ops come Rhea, ne farà la sposa di Saturno, assimilato a sua volta al greco Kronos. Un frequente appellativo di Ops era Consivia, perché associata al dio Conso, le cui feste erano seguite, dopo quattro giorni, proprio da quelle di Ops. Venivano offerti sacrifici in onore di Ops, venerata con l’epiteto di Opifera, anche durante le Volcanalia del 23 agosto. Ops veniva in genere rappresentata con i suoi simboli: la cornucopia e le spighe di grano.

NOTE

¹ Festo (p. 354 Lindsay)

² Varrone (De lingua latina, V, 74)

³ Macrobio (Saturnalia, III, 9, 4)

Consualia (21 agosto)

Il 21 agosto, dopo il raccolto, si celebrava una delle due feste del calendario romano dedicate all’antico dio Conso: i Consualia. Gli altri Consualia si tenevano il 15 dicembre, dopo la semina. Entrambe le feste il 21 agosto e il 15 dicembre erano seguite dopo un uguale numero di giorni (25 agosto e 19 dicembre) da due celebrazioni (le Opeconsivia e le Opalia) dedicate alla dea Ops, personificazione dell’abbondanza in questo caso agricola, il cui epiteto più frequente era appunto Consivia, in quanto associata al dio Conso, che era il protettore del raccolto che originariamente veniva immagazzinato in silos sotterranei. Ad Ops era dedicata una cappella nella Regia del Foro, alla quale avevano accesso solo il Pontefice Massimo e le Vestali.

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Mosaico  con carro e cavalli, Centrale Montemartini, Roma

I Consualia estivi ed invernali si svolgevano con modalità simili. Erano il Flamine di Quirino e le vergini Vestali a sacrificare in onore di Conso sull’altare a lui dedicato, che si trovava interrato nel Circo Massimo – perché il dio presiedeva alla conservazione del grano in silos sotterranei – e che veniva riportato alla luce solo in queste occasioni. L’altare era circondato dalle immagini di altre antiche divinità romane che avevano la funzione di proteggere le messi nei vari stati della crescita: Seia, Segezia e Tutilina. Dopo i sacrifici e l’offerta di primizie, si tenevano corse di cavalli montati e di carri, oltre a giochi campestri e corse di carri trainati da muli. Gli animali utilizzati per i lavori agricoli, come cavalli, asini e muli, erano esentati dal lavoro e venivano adornati con corone di fiori.

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Mosaico ďa Piazza Armerina

I Consualia estivi avevano lo scopo di mettere sotto la protezione di Conso il raccolto immagazzinato nei granai. La tradizione attribuiva addirittura a Romolo l’istituzione dei Consualia del 21 agosto, durante i quali si sarebbe svolto il Ratto delle Sabine.

Festa della Bona Dea (1° maggio)

Il 1° maggio, nell’anniversario della dedica del suo tempio sull’Aventino, si svolgeva a Roma la festa in onore della Bona Dea.

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Statuina della Bona Dea, III secolo d.C., collezione privata

Bona Dea era uno degli appellativi della dea senza nome, venerata dai popoli italici come patrona della fertilità e della guarigione dalle malattie, nonché come divinità oracolare, ma il cui vero nome non poteva essere pronunciato. Macrobio, nei Saturnalia, scrive infatti che questa dea “nei libri dei pontefici è indicata come Bona, Fauna, Opi, e Fatua: Bona perché è l’origine di ogni cosa buona per il nostro sostentamento, Fauna perché soddisfa (favet) i bisogni di tutti gli esseri animati, Opi perché la vita è opera sua, Fatua da fari (parlare, vaticinare)”.

La Bona Dea venne identificata dai Romani prima con Maia, la Terra, da cui prende il nome il mese di maggio, e poi con Fauna, moglie, figlia o sorella di Fauno. Secondo il mito, Fauna avrebbe contravvenuto al divieto per le donne di bere vino puro e sarebbe stata perciò frustata a morte dal marito con un ramo di mirto.

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Statuetta della Bona Dea, II secolo d.C., Museo Barracco, Roma

Il culto della Bona Dea era segreto e riservato strettamente alle donne. Il 1° maggio, il tempio sull’Aventino, in cui gli uomini non potevano entrare, veniva decorato con tralci di vite, piante e fiori, e le sacerdotesse, chiamate “antistes” compivano i loro riti misteriosi. Nel tempio, veniva sacrificata una scrofa, simbolo di fertilità, e alla dea veniva offerto del vino, che si doveva però chiamare “latte”, mentre la coppa in cui veniva servito era chiamata “mellaria“, cioè “vasetto di miele”. Il mirto era bandito dal tempio, per il fatto che la Bona Dea era stata frustata con rami di questa pianta. Sempre in quel giorno, le donne si recavano nel bosco sacro vicino al tempio, dove celebravano i misteri della Bona Dea, dal cui culto gli uomini erano esclusi. I riti avevano lo scopo di propiziare la fertilità e la guarigione,  ma anche di invocare la protezione sullo Stato e sul popolo romano.

Al tempio della Bona Dea Subsaxana, così chiamato perche si trovava sotto un “saxum”, una roccia sull’Aventino, era inoltre annessa una farmacia in cui le sacerdotesse preparavano rimedi curativi grazie alle proprietà medicamentose delle erbe. L’iconografia della Bona Dea era quella di una matrona romana raffigurata con una cornucopia e un serpente.

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Statuina della Bona Dea, con dedica che recita: “Callistus, schiavo alle dipendenze di Rufina in veste di actor (ossia avvocato o tesoriere), ha dedicato questa statua alla Bona Dea, in seguito a una richiesta della dea stessa, che gli è comparsa in sogno”

Alla Bona Dea era dedicata anche una festa di carattere privato che si celebrava ogni anno agli inizi di dicembre, nella casa di uno dei consoli o del pretore, alla quale partecipavano le donne più influenti della città. Durante la festa venivano officiati sacrifici in favore dell’intero popolo romano. La celebrazione era diretta dalle Vestali e nessun uomo poteva essere presente all’interno della casa.

A questo proposito nel dicembre del 62 a.C. Publio Clodio Pulcro profanò le celebrazioni che si tenevano nella casa di Giulio Cesare, pretore e pontefice massimo, che fu sorpreso a prendervi parte travestito da donna. A causa dello scandalo, Cesare fu costretto a ripudiare sua moglie Pompea, per il solo sospetto che fosse l’amante di Clodio, anche se quest’ultimo venne assolto dalle accuse nel processo che ne seguì.

Al culto della Bona Dea finirono talvolta col sovrapporsi anche quelli di Damia, un’arcaica divinità greca della fertilità importata da Taranto con la conquista della città nel 272, e della Magna Mater Cibele, impersonificata dalla pietra nera che giunse a Roma da Pessinunte nel 204 a.C.

NOTE

¹ Macrobio (Saturnalia, I, 12, 21-22)

Opalia (19 dicembre)

Durante i festeggiamenti per i Saturnalia, dopo la fine della semina e l’immagazzinamento del raccolto nei silos ¹, il 19 dicembre i Romani celebravano le Opalia, la festa di Opi (Ops), dea dell’opulenza e dell’abbondanza agricola, connessa con la madre terra, da cui derivava ogni umana agiatezza, ed associata all’antico dio Conso. Si trattava di una delle due feste annuali in onore di Opi; l’altra, le Opiconsivia, si teneva il 25 agosto, dopo la fine del raccolto. Proprio durante questi giorni, i padroni, in una totale sospensione dell’ordine sociale, servivano a mensa i loro servi e schiavi, e tenevano pronta la tavola imbandita per chiunque si presentasse in casa loro.
Secondo Varrone, il culto di Opi, a conferma della sua antichità, venne tradizionalmente introdotto a Roma dal re sabino Tito Tazio, quando regnava insieme a Romolo ².

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Livia Drusilla come Ops (I secolo a.C.), Museo del Louvre

Ad Opi furono dedicati due santuari, uno sul Campidoglio e l’altro nella Regia che si trovava nel Foro, dove c’era una cappella (Sacrarium Opis) in cui potevano entrare solo le Vestali e il Pontefice Massimo e dove, secondo la testimonianza di Festo ³, era custodito un particolare tipo di vaso che veniva utilizzato nei riti effettuati nel sacrario.

Secondo una tradizione riportata da Macrobio ⁴, Opi Consivia era una delle figure divine che potevano essere identificate con la divinità tutelare di Roma, il cui nome doveva restare segreto per impedire che i nemici potessero evocarla e farle abbandonare la città da lei protetta, con il temibile rito dell’evocatio.

Come abbiamo detto, in origine, Opi aveva uno stretto legame con il dio Conso, protettore del grano immagazzinato. Un frequente appellativo di Opi era Consivia, proprio perché associata al dio Conso, le cui feste erano seguite, dopo quattro giorni, proprio da quelle di Opi. Venivano offerti sacrifici in onore di Opi, venerata con l’epiteto di Opifera, anche durante le Volcanalia del 23 agosto.

La successiva interpretazione greca di Opi come Rhea, ne farà la sposa di Saturno, altro antico dio agricolo, assimilato in maniera decisamente forzata al greco Kronos. Del tutto naturale, a quel punto, che le Opalia dedicate a Opi si svolgessero durante i Saturnalia, in onore del suo sposo Saturno. Opi veniva in genere iconograficamente rappresentata insieme ai suoi simboli: la cornucopia e le spighe di grano.

NOTE

¹ Il 15 dicembre si celebravano i Consualia in onore del dio Conso, protettore del raccolto immagazzinato.

² Varrone (De lingua latina, V, 74)

³ Festo (p. 354 Lindsay)

⁴ Macrobio (Saturnalia, III, 9, 4)