Archivi tag: Vestalia

Vestalia (9 giugno)

Il 9 giugno era il giorno culminante del ciclo di feste in onore della dea Vesta, dea del focolare e protettrice dello Stato, la sola fra gli dèi romani ad avere una consistenza religiosa e un’importanza superiore a quella di Hestia, il suo corrispettivo greco. Le Vestalia, celebrazioni in onore di Vesta, si svolgevano dal 7 giugno, giorno in cui veniva aperto il penus, il sancta sanctorum del santuario, in cui era custodito anche il Palladio, fino al 15 del mese, data in cui veniva chiuso.

20190609_014219
Statua di virgo vestalis maxima

Tra i vari riti che si effettuavano in questi giorni, ricordiamo il 15 giugno la pulitura rituale del tempio di Vesta (quando stercus delatum fas), al termine della quale la sporcizia (purgamina Vestae) accumulatasi sul pavimento veniva gettata nel Tevere e tutto l’edificio veniva purificato con acqua di sorgente. Anche la macina che produceva la “mola salsa” veniva purificata e addobbata con corone di rami e nastri, insieme all’asino che la faceva girare, che in questi giorni era anche decorato con ghirlande di pani ¹.

Durante i festeggiamenti in onore di Vesta, le donne potevano entrare a piedi nudi nel tempio e vedere il fuoco sacro (ignis Vestae) che vi ardeva, di solito precluso alla vista di tutti. Al di fuori di questo periodo, solo le Vestali e il Pontefice Massimo potevano accedere al santuario. Addirittura, il penus, il luogo più sacro, era interdetto anche al pontefice. Il fuoco sacro non doveva spegnersi, tranne una volta all’anno, il 1° marzo (l’inizio dell’anno in epoca arcaica), quando si accendeva un nuovo fuoco. Se il fuoco si spegneva accidentalmente in qualsiasi altro giorno, non poteva essere riacceso partendo da un altro focolare, ma solo da un fuoco nuovo ottenuto per frizione, sfregando un pezzo di legno, oppure con l’utilizzo di specchi in grado di convogliare il calore del sole in un unico punto.

vestali-romanae

Vesta era onorata in un edificio circolare che non è un templum (spazio quadrangolare orientato secondo i punti cardinali), ma soltanto una aedes, la casa del dio. Il santuario di Vesta non conteneva alcuna statua o immagine della dea ² (almeno fino al I secolo a.C.), ma solo il fuoco perenne e alcuni dei talismani garanti del destino di Roma, i “pignora imperii“, oltre al fascinum, un effigie a forma di fallo che era simbolo di fecondità. L’aedes Vestae, contenente il fuoco sacro, era inoltre l’unico santuario di Roma arcaica a pianta circolare.

Unico tra tutti i culti romani, l’ordine sacerdotale preposto al culto di Vesta era composto solo da donne, le Vestali. I loro incarichi erano pertinenti alla sfera domestica: la tutela del fuoco sacro, la preparazione della mola salsa, che serviva ad immolare, cioè cospargere di mola salsa, le vittime destinate ai sacrifici e del suffimen, la mistura che veniva utilizzata durante i Parilia.

PhotoCollage_20200608_185714050
Statue di Vestali rinvenute nella casa delle Vestali

L’istituzione delle Vestali a Roma risaliva, secondo la tradizione, a Numa Pompilio, ma si trattava di un sacerdozio già diffuso nel Lazio, se pensiamo che Rea Silvia, madre di Remo e Romolo, era una vestale di Albalonga.

Le Vestali, in numero di sei, erano fanciulle di origine patrizia, provenienti dalle casate più illustri, i cui genitori dovevano essere ancora in vita, e venivano avviate al sacerdozio tra i sei e i dieci anni. Venivano scelte in origine dal re e, in età repubblicana, dal Pontefice Massimo; vestivano sempre di bianco, con il capo fasciato da una benda detta infula. Il collegio delle Vestali era presieduto dalla Virgo Vestalis Maxima, che era la vestale più anziana.

vestali-1
Statua di Vestale, dalla Casa delle Vestali, Roma

La formula di consacrazione, pronunciata dal pontefice nel momento in cui riceveva la ragazza dal padre, durante una cerimonia chiamata captio (cattura), ci è stata tramandata da Gellio:

Così ti prendo, Amata, come prescrive l’antica legge, perché tu compia le sacre cerimonie che deve compiere una sacerdotessa di Vesta per il popolo romano dei Quiriti” ³.

La durata minima del sacerdozio era di trent’anni, durante i quali le Vestali dovevano conservare la verginità, perché il loro sangue non poteva essere versato. Il primo decennio era dedicato all’apprendimento, il secondo all’esercizio del culto vero e proprio, il terzo all’addestramento delle novizie destinate a prenderne il posto. Trascorso il periodo trentennale, le vestali potevano tornare libere e addirittura sposarsi, oltre a ricevere una lauta pensione per i servigi prestati. Le abitazioni a loro riservate si trovavano nell’Atrium Vestae, nei pressi della Regia, la residenza del pontefice massimo, accanto all’aedes della dea.

Le rinunce a cui erano tenute le Vestali erano compensate da una serie di privilegi sconosciuti alle normali donne romane. Le Vestali erano sottratte alla patria potestas a cui rimanevano soggetti tutti gli altri individui fino alla morte del padre; potevano disporre dei loro beni mediante testamento; prestare testimonianza in tribunale; disponevano di un proprio littore e di una vettura (come il rex e i flamines maiores) che le conduceva sul luogo delle cerimonie; potevano assistere agli spettacoli da posti riservati; se un condannato a morte ne incrociava il cammino e riusciva a raggiungerne una, cingendole le caviglie, aveva salva la vita.

le_supplice_dune_vestale90615
Il supplizio di una vestale, Henry-Pierre Danloux, 1790

Terribile era la pena per la vestale che fosse stata riconosciuta colpevole di aver violato il voto di castità (incestum), un delitto religioso che poteva scatenare l’ira degli dèi. Al termine dell’istruttoria condotta dal pontefice massimo, la vestale ritenuta colpevole, poiché il suo sangue non poteva essere versato, veniva condannata ad essere sepolta viva in una camera sotterranea nel famigerato campus sceleratus, nei pressi di Porta Collina, dove veniva condotta su una lettiga coperta all’esterno e stretta con cinghie. Nella camera sotterranea, dove la sventurata sarebbe stata murata viva, l’attendevano un letto, pane, acqua, latte, olio e una fiaccola. Il suo sfortunato amante veniva fustigato a morte nel Comizio, nudo e con la forca al collo, come gli schiavi.

Il prestigio e l’importanza delle Vestali attraversarono immutati tutta la storia di Roma fino al tramonto del paganesimo. Un primo duro colpo venne assestato nel 382 dall’imperatore Graziano, che decise di ridurre i privilegi di cui godeva il collegio delle Vestali. Graziano privò il collegio, composto allora da sette sacerdotesse, delle sue esenzioni fiscali; vietò inoltre alle Vestali di ricevere terreni in eredità e, soprattutto, gli negò il tradizionale libero accesso a una quota della fornitura imperiale di grano prevista dall’annona. Dopo la morte di Graziano nel 383, Quinto Aurelio Simmaco, il praefectus urbis, da pagano difese la causa delle Vestali scrivendo nel 384 una relazione al successore Valentiniano II, evidenziando che le sacerdotesse svolgevano la funzione pubblica di pregare per il benessere e la protezione dell’impero, e che privarle dei loro privilegi poteva offendere gli dèi. Ma il nuovo imperatore, sostenuto dal vescovo di Milano Ambrogio, non cambiò idea e respinse la relazione di Simmaco, nonostante la carestia che aveva colpito l’impero tra negli anni 383-384. L’ultimo affronto avvenne dopo l’emanazione dei decreti teodosiani del 391-392, che vietavano il culto degli dèi: Serena, la moglie di Stilicone, che risiedeva a Roma, per deridere la vecchia religione

volle visitare il tempio della Grande Madre; appena vide che la statua di Rea portava una collana degna del culto riservato ad una dea, la tolse dal collo della statua e la mise sul suo. E quando una vecchia, una delle vergini Vestali che era rimasta, le rinfaccio la sua empietà, essa la oltraggiò, ordinando al suo seguito di cacciarla via. Allora costei, andandosene, lanciò contro Serena, il marito e i figli, tutte le imprecazioni che il suo atto sacrilego meritava“. ⁴

post-39026-0-73272300-1403591537_thumb
Dittico di Stilicone e Serena, Tesoro del Duomo, Monza

Serena non si preoccupò della maledizione della Vestale, e uscì dal tempio con la collana. Tuttavia, dopo la morte di Stilicone nel 408, mentre Alarico assediava Roma, Serena venne condannata a morte dal Senato e strangolata, con la falsa accusa di aver favorito i barbari. E i pagani ancora esistenti non mancarono di attribuire la fine di Serena alla vendetta degli dèi scatenata dalla maledizione dell’ultima Vestale.

NOTE

¹ Ovidio (Fasti, VI, v. 311)

² Ovidio (Fasti, VI, vv. 295-296)

³ Gellio (Noctes Atticae, I, 12)

⁴ Zosimo (Storia Nuova, V, 38, 3-4)

(Articolo aggiornato l’11 giugno 2020)